Giovanni Matteo De Candia (1810-1883), in arte Mario, è stato un grande tenore, capace di superare i tabù sociali. Ha generosamente sostenuto i musicisti in difficoltà, sia quando è stato all’apice del successo, che quando si è trovato in difficoltà economiche, sempre affrontate con straordinaria dignità.
Gli anni della prima giovinezza

Una vita avventurosa e in gran parte romanzata, secondo la migliore tradizione letteraria ottocentesca. Nato a Cagliari nel 1810, Giovanni Matteo De Candia era il figlio di un Cavaliere Nobile e valente generale sardo del Reggimento Cacciatori Guardie. Giovanni era quindi destinato a una carriera militare, preceduta dalla doverosa frequenza a Torino dell’Accademia Reale.
E’ qui che Giovanni incontra compagni di studio come Camillo Cavour e Alfonso Della Marmora. Qualcosa però, in questo destino prevedibile, non funziona a dovere: già luogotenente nel Reggimento Cacciatori Guardie, Giovanni De Candia contrae dei debiti che il padre si rifiuta di pagare e, nel 1836, decide di abbandonare la divisa e di imbarcarsi a Genova per approdare a Parigi.
Alla fine degli Anni Trenta, Parigi è una città proiettata verso il futuro, che affronta grandi cambiamenti sociali e imponenti modifiche urbanistiche: nel 1936 è stato inaugurato l’Arc de Triomphe e l’anno successivo viene varata la prima ferrovia francese, che collega la capitale e Saint-Germain-en-Laye. Ma Parigi, è conosciuta soprattutto come la patria degli esuli italiani e si è trasformata in un grande laboratorio politico dove si può discutere dei destini nazionali e stringere legami con i circoli intellettuali francesi.
Cantare per vivere
Nonostante la protezione fraterna dei patrioti italiani, Giovanni Matteo deve trovarsi velocemente un lavoro per vivere e, dopo aver impartito lezioni di scherma ed equitazione, inizia a sfoggiare la sua bella voce tenorile nei circoli francesi che frequenta. Il suo punto di riferimento principale è il salotto della principessa Cristina Belgioioso, dove si discutono le idee progressiste e liberali e dove Giovanni può entrare in contatto con i personaggi più in auge nella società parigina: Lady Blessington, Alfred de Musset, Chopin, Liszt, Rossini, Bellini, Balzac, George Sand….
Bello, aristocratico e squattrinato, con le sue performance Giovanni ottiene un notevole successo e suscita l’interesse degli addetti ai lavori, che lo incoraggiano a prepararsi professionalmente alla carriera di cantante. Un destino straordinariamente lontano da quello previsto per nascita porta il giovane tenore al suo debutto operistico il 30 novembre 1838, nel ruolo di Raimbaut in Robert le diable di Giacomo Meyerbeer.
Vita nuova, nome nuovo
Il debutto è un’affermazione indiscutibile, ma il nome di Giovanni Matteo De Candia non può comparire ufficialmente. Per superare l’opposizione paterna e quella del Re Carlo Alberto (che aveva fatti passi ufficiosi per predisporre la riabilitazione dell’intraprendente giovanotto in patria) il giovane tenore accetta di non comparire sui cartelloni con il nome di Giovanni Matteo De Candia e di non cantare in Italia: decide di adottare un nome d’arte di una sola parola, ben riconoscibile, e sceglie lo pseudonimo Mario, ispirato all’antichità romana,. E’ l’inizio di un percorso faticoso, perché Mario deve ancora studiare e formarsi per diventare un vero professionista, ma è l’inizio di una carriera folgorante, ricca di grandi soddisfazioni.
Dopo l’esordio, Mario passa presto al teatro italiano, a lui più affine, e dà prova delle sue più grandi interpretazioni in alcuni prestigiosissimi ruoli: il personaggio del titolo in Otello e Almaviva in Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Ernesto nel Don Pasquale, Gennaro in Lucrezia Borgia e Fernando ne La favorita di Donizetti, il Duca nel Rigoletto, Alfredo ne La traviata, Manrico in Il trovatore di Verdi.
La Royal Opera House, il Covent Garden di Londra e il Théâtre Italien di Parigi diventano le scene della maggior parte dei suoi trionfi sul palcoscenico e, proprio nella capitale inglese, Mario incontra la soprano Giulia Grisi, che diventa sua compagna nella vita e sulla scena e che lo affiancherà anche nella sua tournée americana. All’apice della carriera Mario guadagna cifre favolose, sostiene la causa risorgimentale, aiuta molti esuli italiani a Parigi e a Londra, conosce Garibaldi e finanzia la spedizione dei Mille.
Gli anni del declino
Morta la Grisi e dovendo mantenere tre figlie, Mario canta ancora per necessità e infine dà l’addio alle scene nel 1871, ritirandosi a Roma, nuova capitale d’Italia, vivendo decorosamente grazie a un vitalizio garantito dagli amici inglesi. La sua generosità è proverbiale e la dimostra anche dopo il ritiro dalle scene, nonostante le difficoltà economiche: quando la Banda Musicale di Cagliari si rivolge a lui per un sostegno, lui invia il denaro per acquistare gli strumenti.
Muore l’11 dicembre del 1883 e viene sepolto a Cagliari, dove nel 1844 aveva fatto costruire una cappella per sé e per i suoi nel Cimitero Monumentale di Bonaria. A Cagliari gli è stata intitolata una via a ridosso del palazzo costruito dal fratello Carlo e gli è stato dedicato l’elegante caffè nell’omonima via del quartiere Castello, ma si potrebbe certamente fare molto di più per conservarne la memoria.
Bibliografia essenziale
FELICE TODDE, Il tenore gentiluomo. La vera storia di Mario (Giovanni Matteo De Candia), Varese, Zecchini, 2016.